Il kibbutz al primo impatto mi lascia sorpresa. Tutto intorno a noi il paesaggio è brullo. Si scorge qualche beduino che pascola delle pecore accanto a una baracca di lamiera.
Sui tetti arroventati delle baracche qualche cisterna per acqua piovana.
Tutto d’un tratto si vede una zona verdeggiante e lussureggiante con un’alta recinzione di filo spinato. Sembra di entrare in un altro mondo.
Tante casette basse e ordinate circondate da piante rigogliose e fiori ci accolgono. Qui sembra addirittura che il clima sia diverso rispetto al di fuori del filo spinato e dell’alto muro che lo circondano.
Siamo entrati nel kibbuz di Mashabei. Il kibbuz è un villaggio gestito in forma cooperativa, fondato dagli Ebrei dell’est Europa (chiamati Sionisti). Ogni cosa è in comune e in parte è stato adibito a resort per turisti e pellegrini. La vegetazione è quella tipica delle zone calde: olivi, boschetti di eucalipti, cipressi, pini marittimi, acacie, poche viti e cespugli di ginepri, tamarici e distese di appezzamenti di erba secca. Sicuramente un altro paesaggio rispetto a quello cui siamo abituati.
Sono sinceramente rimasta colpita nel vedere quel filo spinato. Mi ricordava visivamente, la struttura di un campo di concentramento. Casette basse filo spinato muri e illuminazione a giorno lungo il muro.
Lì ho cominciato ad avvertire un senso di separazione. Il kibbuz era bello e ordinato, ricco di ogni confort, quasi un villaggio turistico.
Se il kibbutz era nato come struttura in cui condividere tutto e in cui ogni cosa è di uso comune, strideva ai miei occhi quel filo spinato.
Questo è stato il primo impatto con questa terra fatta di diversità e di separazione.
Era come vivere in un mondo a parte con delle regole a parte . La presenza di muri e filo spinato mi ha inquietato.
Non c’è condivisione ma gli ebrei sono dentro, e gli altri sono fuori.
Vivono due mondi opposti: i beduini non hanno nemmeno diritti civili.
Non hanno diritto a nulla neppure all’acqua. Eppure loro percorrevano questa terra da sempre…